testi


Bruno Ciasca sa intrecciare nella sua ricerca sui tessuti immagini e sentimenti, esperienze maturate negli anni ed emozioni filtrate da una eccezionale abilità manuale. La sua Fiber Art non ha la freddezza della produzione in serie e neppure il gusto retrò dell’artigianato che va scomparendo. Quella di Ciasca è vera arte che si sviluppa dal tessuto, perché è attraverso il tessuto che ci vestiamo, ci copriamo, ci scopriamo. E nel tessuto reinventato da Ciasca c’è un po’ il vissuto di ognuno di noi, il sapore dei ricordi (persiane e ruote di bicicletta) e poi ancora e soprattutto il piacere del colore e del riuscire a fare arte mediante una riflessione acuta sul presente, aperta al futuro. Ed è comunque da uno snodo, di tessuto oppure esistenziale, che si riparte comunque, dentro se stessi e nella bellezza della creatività artistica. Ringrazio Bruno Ciasca per avermi dato un momento di autentica gioia nel guardare la bellezza e l’originalità delle sue opere.”

(Maurizia Cavallero)

 


Trame, tracce, frammenti della materia-colore.

 

E lanciano 

gli aquiloni

i bambini a schiera –

vento di primavera

(Taneda Santoka)

 

Colorata come un aquilone, la trama della pittura di Bruno Ciasca è il segno di una ricerca che unisce materiali tessili e rispondenze concettuali, composizioni geometriche e tracce di una stagione che travalica la realtà per entrare in profondità nell’animo umano, nel rapporto con l’ambiente e le strutture dell’attuale società. Il discorso di Ciasca si sviluppa con misura e la volontà di trasmettere le proprie e indiscusse competenze professionali, di delineare gli aspetti di una vicenda «ispirata alla tradizione del tessere», di affidare al linguaggio dell’arte il senso di un’esperienza segnata da un’attività didattica realizzata con un gruppo di ragazzi diversamente abili nella bottega «Judith Scott» di Pino Torinese con l’Associazione Vivere. In tale ambito, si definisce un dettato poliedrico, ricco di riscontri con il territorio chierese e non solo, sostenuto da un dialogo continuo con una materia che diviene media e racconto e documento per trasformare una matassa di filo in un quadro, in oggetto, in lavori dalle «geometrie inedite» scanditi nello spazio. Lavori che sono stati presentati alle rassegne della «Fiber Art», caratterizzati da un universo di emozioni, di sensazioni, di un sapiente «intreccio di materia inerte e memoria vivissima, di arcobaleni impossibili e di possibilissime contrapposizioni». Ciasca affida, quindi, ai fili d’ordito, inseriti in attezzi tessili in legno recuperati, l’essenza di una elaborazione risolta con una capacità manuale tale da tradurre l’idea in opere astratto-materiche, in accostamenti talora arditi che si ricollegano alle istanze della cultura visiva del secondo Novecento con proiezioni fino ai giorni nostri. Si tratta di una sorta di itinerario che va dai «Fili alla finestra», dalla naturale successione dei rossi e verdi e gialli, all’elegante e spaziale «Vela gioiosa», da «Dietro le quinte» all’armonia cromaticamente pittorica di «Sognando Cezanne», sino al rigore delle tessere di un contemporaneo mosaico, evidente in «Studio 1» e «Studio 2». In Ciasca vi è un alternarsi di «impressioni», di forme, di «bozzoli» e «reperti», «reliquie», «migrazioni» e ironiche entità figurali («Sara Bou Bou»). E nelle testimonianze degli ultimi anni, le «Trame Editoriali» assumono le valenze di una lirica comunicazione, mentre nella serie «Brusan» il filo d’ordito di seta e i fili di trama in plastica colorata conferiscono una lieve, musicale, raffinata dimensione alla composizione immersa, sospesa, nell’atmosfera. Un’atmosfera che avvolge l’immagine, accoglie il fluire dei fili, concorre alla piena definizione del gioco delle luci che accendono i colori. Colori di un mondo ricostruito attraverso la fantasia, il sogno, l’infinita trama di un ordito reinventato per esprimere il dialogo tra persone diverse e diversamente presenti in questo percorso, nel tentativo, mai vano, di raggiungere la verità nel silenzio dello studio, tra la finestra dedicata a Villa Brea e le prove di tessitura che emergono dallo spazio della memoria.

(Angelo Mistrangelo)


Nella Fiber Art di Bruno Ciasca la volontà di recuperare e dare continuità al potere evocativo di strumenti, strutture e oggetti altrimenti destinati a fermarsi per sempre è solo una delle interpretazioni possibili. Fiber Art è arte che dà nuova vita a materiali apparentemente dismessi attraverso la forza del colore, all’impeto della fantasia, alle imprevedibili direzioni di tessiture libere, di geometrie inedite, di intrecci sorprendenti. Fra concretezza della materia e intangibilità della fantasia, in ogni opera di Bruno Ciasca la materia reale convive in perfetta simbiosi con l’impalpabile intensità di emozioni impossibili da definire (semplicemente perché mai esistite prima). Il vecchio diventa incredibilmente nuovo. Il passato diventa, sorprendentemente, futuro. Il tutto in una dimensione semplice, accessibile, condivisibile. Attraverso l’utilizzo di una tecnica compositiva estremamente personale, il risultato è un “linguaggio emotivo” limpido, che non ha bisogno di particolari codici o definizioni. Un linguaggio che coinvolge senza dichiarare, che affascina e conquista senza inutili forzature; che si affida unicamente al sapiente intreccio di materia inerte e memoria vivissima, di arcobaleni impossibili e di possibilissime contrapposizioni. Fiber Art è un invito per la vista e per il tatto che offre immagini libere di essere ammirate, interpretate, metabolizzate senza limitazioni e senza confini. Perché, in definitiva, l’immaginario telaio di Bruno Ciasca è il Mondo. Un mondo in cui ogni cosa si reinventa, nulla si distrugge e dove, quindi, tutto diventa possibile.”

(Filippo D’Arino)


L’approdo intellettuale di Ciasca è quella sintesi di pensiero che ha permesso, in ambito scientifico, il passaggio dalla fisica antica a quella moderna, e che in ambito artistico ha segnato la transizione dalla “Gioconda” di Leonardo alla “Donna in blu” di Léger.
È possibile operare artisticamente solo nella consapevolezza del proprio iter spirituale, ma occorre sempre essere consci del “daimon” personale a cui urge obbedire: il “daimon” di Ciasca approda a quel linguaggio universale che è il linguaggio del lavoro. Proviene infatti dall’ambito del lavoro il fascino della scrittura del nostro artista. Non certo il lavoro al telaio, ma quella scrittura misterica che si situa dopo l’opera del tessitore, quel linguaggio iniziatico che arriva dalle tessiture del Chierese. Filo dopo filo, quella grafia è divenuta arte. L’arte, dunque, come testimonianza del lavoro. Lavoro che ha uno spazio, un posto, un esserci. E poi il colore. Il colore che è scandito in due livelli: prima di tutto quello geometrico, ed è un discorso di ordine spazio-temporale, di venature, e in un secondo luogo quello mitico, rituale, tribale, appartenente forse di più alle celebrazioni che alle visioni.”

(Maria Rosa Menzio)


Fili che s’intrecciano come nidiate di figli capricciosi, già proiettati verso il domani. Fili che, attraverso sapienti nodi, danno vita a trame colorate, oppure a storie destinate a tramandarsi. Lavora sui tessuti Bruno Ciasca e con semplici tele o jaquard intende trasmettere messaggi semplici, lieti e concreti. La sua arte si esprime in oggetti poveri – scarti di pezze, resti di attrezzi per telai, vecchie cornici – valorizzati però, anzi nobilitati, da fiocchi, raggi e sbuffi di viscose e cotoni. Sono paesaggi solari quelli che descrive. E spiagge, prati fioriti, cieli sereni paiono infatti fare capolino attraverso le trasparenze dei suoi lavori.
Un’ispirazione inedita? Non troppo. Già direttore amministrativo in due aziende tessili, Ciasca confessa di essere da sempre stato ‘fatalmente’ attratto dai tessuti: da quelli con cui sua madre, subito dopo la guerra, gli confezionava i ‘vestitini della festa’, agli impermeabili che si cucivano nella fabbrica del suo primo lavoro e, per concludere, alle stoffe più preziose e ricche che in anni più recenti vedeva comporsi sul telaio nell’intreccio magico delle diverse spole. «La stoffa per me è una seconda pelle  che ci accompagna dalla nascita alla morte – osserva adesso – Per questo non possiamo semplicemente usarla e poi buttarla via, senza gratitudine per quel pezzo di strada più o meno lunga che ha percorso con noi». Quello che ha sempre colpito l’uomo è stata l’assenza di una fine. «Una pezza poteva anche, com’era logico, arrivare alla conclusione del suo ciclo – puntualizza – Ma subito gli si annodava insieme un altro tessuto in un processo, anche travagliato, ma privo di rotture». È il distacco che fa soffrire Ciasca; lui non ama le separazioni. «Per questo con la vita, quello che voglio celebrare è proprio la memoria. La volontà di usare e riutilizzare tutto al meglio: una passione che purtroppo oggi non mi pare condivisa».
L’artista recupera tutto: ruote di biciclette, infissi, catene, sedie un tempo gloriose. E ad esse lega i suoi arcobaleni di morbide tele e sete voluttuose. Anche una persiana vecchia, semmai raccolta tra un mucchio di rifiuti, può aver molto da dire: «Chissà quante mani l’hanno toccata – riflette Ciasca – Chissà quanti sguardi ha filtrato». Ed è il patrimonio antico degli oggetti che l’artista vuole salvare: «Per riportarlo intatto alla superficie di un’epoca troppo incline agli sprechi e all’oblio». Proprio per questo non c’è in nessuna opera il segno della sopraffazione: «Io ad un oggetto non aggiungo, né tolgo nulla. Non ardirei mai a trasformarlo. Semplicemente lascio che si esprima così come gli hanno chiesto i suoi padri: falegnami stanchi od umili tessitrici, in ogni caso persone capaci, profondamente innamo­rate del proprio lavoro». E mentre già pensa a nuovi sviluppi della sua attività, l’uomo si guarda attorno. «Mi piacerebbe destare interessi soprattutto nei giovani, che apprezzino quanto produco e che siano capaci di continuare a camminare sui miei sentieri, così da scoprirne i nuovi sbocchi». Come una pezza cerca di annodarsi ai fili di un’altra, così le mani di Ciasca si aprono verso il domani: «Io spero di avere ancora tanto da dare. Vorrei però trasmettere a mia volta quanto so. Perché anche l’arte, come il mestiere, è fatto di vita vissuta; di storie e di ricordi. Altrimenti è solo teoria: fredda e vuota.”

(Paola Cappa)


La produzione dell’artista tanto più diventa umana, quotidiana e sociale quanto più universali, pulite e pure sono le sue opere. Un’umanità senza tempo, il presentimento di un eterno ritorno, di un universo ciclico. Questo è dietro ai suoi lavori sugli oggetti di arredamento, recuperati per farne simbolo artistico. Ecco quindi le persiane, lo stupendo cerchio di bicicletta, lo schienale della sedia…
La ricerca di un posto in un’umanità operosa: questa, in sintesi, mi è parsa la cifra vincente nel lavoro di Bruno Ciasca, che a questa ricerca di uno spazio non risponde mai che detto spazio sia “altrove”. Le sue due opere più rappresentative mostrano un lato sacrale. Una è il triangolo, visto come continuazione ed emanazione del lato tessile, con un’annodatura (si tratta di una camicia) che crea un alone, L’altra, quasi uno stemma nobiliare, è un sole in campo azzurro, formato dal rovescio di un tessuto… dal lavoro alle stelle. Questo itinerario artistico avviene secondo i moduli di un universo culturale che è il seguente: “non la somiglianza, non la qualità d’informazione, ma la facilità con cui tale informazione è trasmessa ci dà il realismo della rappresentazione delle arti figurative”. Così dice Goodman. E Ciasca risponde con un arcobaleno. Nell’artista dunque c’è un cammino, una leggenda tutta da vivere. Bruno Ciasca è artista del nostro tempo, forse anche un poco in anticipo sui tempi; ma che si inserisce perfettamente nel discorso culturale della fine di questo millennio.”

(Maria Rosa Menzio)